Il vero problema coi Tamagotchi?
Avete presente no, quei pulcini digitali che vendevano negli anni ‘90, importati dal Giappone. Erano una vera mania. Tutti ce l’avevano, pure mia sorella, io no perché boh, forse non ero così simpatico e popolare come pensavo di essere e come diceva la mia MAMMA.
Fatto sta che la zia Paola regala un Tamagotchi a Caterina.
«Accettiamo questo dono» dico io, il mormone tuttora impopolare, «ma speriamo bene.»
Perché in quel “speriamo bene” c’era dentro tutta l’ansia dei rotocalchi anni ‘90. Di questi pulcini che nascono, li fai crescere proprio come dei cuccioli, ma la loro sopravvivenza diventa sempre più difficile. Gli dai un pranzetto di più, e va in cielo. Ti dimentichi di pulirgli la cacca, e va in cielo (e ti lascia appunto la cacca). E poi rivive.
Dai, ricordate anche voi i tragici racconti dei fragili bambini giapponesi che non sopportavano ‘sta cosa e si buttavano giù. E io angosciato, Caterina ce la farà?
Caterina ce la fa eccome. Il pulcino è schiattato millemila volte e nemmeno una piega.
«Ma come, di nuovo?» faccio io.
«È solo un gioco, papà.»
E poi ‘sto pulcino quando ha bisogno suona. E se Caterina è lì, provvede. Se non è lì, mia moglie Francesca si alza da tavola. E va a piciottare coi tasti.
«Ma perché vai tu?» le chiedo.
«Non ce la faccio. Da madre non posso ignorare un grido d’aiuto.» E poi gli parla. «Cosa vuoi adesso, eh? Cosa vuoi.»
Fino all’epilogo. Il pulcino che un bel giorno suona e non si può tacitare. C’ha sopra un teschio grosso così.
Francesca che piciotta inutilmente. «Non riesco a curarlo! Perché non riesco a curarlo!»
Caterina arriva e valuta. «È inutile, mamma. È andato.»
«Nooooouuuu.»
Perciò ecco, cosa impariamo da questa faccenda?
a) mia figlia è insensibile a un pulcino digitale, o forse lo prende per quello che è, cioè un pulcino digitale
b) per il bene di tutti, il pulcino deve sparire
c) mia moglie è un fragile bimbo giapponese e va seguita. Da uno bravo.