Cercare un dialogo con le figlie è bello. A patto però di rimanere nei limiti del comprensibile, sennò è una giungla.
Caterina ha detto una nuova parolaccia. Eeeh, che sarà mai, direte voi. Ecco appunto, non voglio focalizzarmi sulla parolaccia in sé, l’ho capito che il vocabolario andrà sempre più aumentando, spero solo che le parolacce rimangano una percentuale limitata all’interno di un contesto più grande. Grandissimo.
Insomma restiamo focalizzati sulla parte bella. Quindi non è importante che parolaccia abbia detto, che è più un’esclamazione a dire il vero, comunque immaginatela brutta, e intanto usiamo una parola segnaposto per non offendere la sensibilità di nessuno, chennesò, “portagioia”.
Quindi stiamo camminando, Caterina ha in mano un pallone, il pallone le cade.
«Portagioia!» esclama.
«Scuuusa?» le faccio io.
«Che c’è.»
«Eh, che c’è. Hai detto portagioia.»
«Ho otto anni, papà.»
«E quindi?»
«A otto anni tutto cambia.» E me lo dice con l’aria da sofista, con gli occhi socchiusi.
«Ma tutto cambia, cosa?» le chiedo.
«Tutto.»
«Ma chi lo dice.»
«Tutti.»
«Ma tutti chi.»
«Tutti.» Pausa teatrale. «Tutti, e nessuno.»
Ossantocielo, ma è il teatro dell’assurdo. Mi sembra uno di quei sogni in cui viene detta una cosa e il suo opposto giusto per farmi ricordare che la sera prima ho mangiato la peperonata.
Considerazioni:
a) mia figlia sta diventando ermetica come una pentola a pressione di cui ignoro il contenuto. Quindi la parolaccia in effetti è l’ultimo dei problemi;
b) Caterina sta tirando una supercazzola prematurata in puro stile Amici Miei;
c) Caterina tra poco compie nove anni e quindi posso dirle che questa regola sofista degli otto non vale più