La mia paura più grande è di perderle, ovviamente. Per strada, al super, ce le hai sotto gli occhi e un attimo dopo… puf. Ecco, ci penso e già mi viene il magone esistenziale.
Come combatto questa paura? Con la classica, (per niente) sana terapia d’urto.
Se giocano in un parco, mi forzo a guardarle dalla panchina. Soprattutto se si allontanano. Pratica malsana sotto tutti i punti di vista, sia chiaro che me la vivo malissimo.
Mai avuto l’istinto di chiudere gli occhi per 2 secondi mentre state guidando? Ecco, sapete cosa provo quando la Luci corre dietro l’unico baobab che han piantato in tutta Italia. Coi colonnati stessa cosa: sai che sbucherà dall’altra parte, è solo questione di secondi, per la miseria non può esistere un buco per universi paralleli che me la risucchia. E soprattutto il wormhole mica vanno a metterlo lì. Senza pensare a tutti i maniaci che stanno dietro le colonne, alle 17 in pieno centro abitato (giusto prima dell’aperitivo).
Ogni volta che ripeto la terapia d’urto perdo un battito.
La settimana scorsa prendo ferie e vado in montagna con Caterina. Questo periodo è il migliore perché non c’è NESSUNO. Per capirci, sfruttano l’assenza dei turisti per cantierare interi paesini, penso stiano levando tutto il manto stradale, sennò non me lo spiego.
Siamo al parco giochi: vuoto, tutto per noi. Poi Caterina ricorda d’aver lasciato qualcosa in auto.
«Posso andare a prenderlo?»
Dalla panchina do un’occhiata: l’auto è fuori vista, dietro una collinetta. Potrebbe essere un momento di grande coraggio, potrei allungare quei 2 secondi a un minuto buono. Il fascino del proibito.
Le allungo le chiavi. «Va bene.»
Che son due parole. Se succede qualcosa mia moglie le scolpirà sulla mia lapide.
La vedo partire, scompare dietro la collinetta. Okkei, mi dico.
Tu-tum.
Posso fermare questa prova QUANDO VOGLIO.
Tu-tum.
47 secondi dopo riecco spuntare la testa, le spalle, il corpo. Bon, c’è tutta. Sono stato coraggiosissimo.
Finché più tardi, tornando assieme all’auto, mi accorgo che tra la collinetta e il parcheggio c’è UNA STRADA.
«E questa?!?» faccio io. «Hai attraversato la strada?!?»
«Ho guardato, non c’era nessuno.»
Tu-… Tu-tum.
«Va bene» dico io.
Due parole.