Allora, dei compiti delle vacanze si è già detto in lungo e in largo. E che, mi metto pure io a dire è giusto/non è giusto? Giammai.
Anche perché lascio parlare i fatti (oggettivissimi). Dunque: i compiti son tanti, io e mia moglie si lavora, e allora gli esercizi, le letture, le poesie che sembrano vie crucis, sappiate che mica ce li sciroppiamo tutti noi. Se li pippano anche i nonni.
A casa dei miei genitori ci sono 4 nipoti compitari. La Luci, che fa tutto alla velocità del suono e poi disturba gli altri. Il cuginetto Pepo, pure lui svelto a finire e che poi dà una mano alla Luci. E poi ci sono mia figlia Caterina e mio nipote Tommaso. Campioni del tergiverso, che sarebbe un universo che va al rallentatore.
Quando arrivo dai miei a raccattare le figlie e ingozzarmi della colomba avanzata, la situazione è questa:
Luci e Pepo recitano la poesiola ma inserendo parolacce.
Caterina deve descrivere in tre-frasi-tre ciò che le accade attorno, e si lamenta da mezz’ora che attorno a lei non accade niente.
Tommaso mi dice “senti zio cos’ho imparato” e poi attacca col flauto. L’Inno alla gioia. Nelle parti facili accelera, in quelle difficili rallenta e mi falla le note. Che io mi dico, ma in trent’anni allora non è cambiato niente. Il flautino giallo di bachelite, la saliva da pulire con la spugnetta. E l’Inno alla Gioia santocielo, Beethoven e l’Unione Europa che da trent’anni urlano assieme, vi prego a quei ragazzi fate suonare qualcosa d’altro ma il nostro pezzo no.
Insegnanti, sappiate che venti minuti dopo la situazione è questa.
Tommaso s’è appoggiato il flauto alla narice destra e suona l’Inno alla gioia col naso. Pepo e Luci lo prendono a pugni nelle parti basse giusto per deconcentrarlo. E in tutto questo l’esecuzione è migliorata.
Caterina ha finito le sue tre righe:
1) Mio papà mangia la colomba mentre parla.
2) Mia nonna sbadiglia.
3) Mio nonno guarda il cellulare.
Insegnanti, ditemi voi. Questi non sono compiti. Sono l’istantanea di un momento che tutti vorremmo dimenticare.