Parliamo di letteratura colta, che ce n’è sempre bisogno.
Caterina è in quinta e deve imparare le poesie. Ma non quelle che impari fino alla quarta, che in realtà son più filastrocche tipo la fiamma traballa / la mucca è nella stalla.
Qui si parla di poesie vere, quelle con una metrica serratissima, quelle che usano parole che non si capiscono però ti dici, ehi: 1) senti come suona antica 2) dev’essere una parola importantissima 3) chissà che lavoro intelligente dev’essere fare il poeta.
(voce fuoricampo: eeeh vabbè, alla fine basta scrivere robe a caso, tanto non si capisce).
E insomma, la prima poesia da imparare è S. Martino, di Carducci Giosué (conduce l’orchestra Peppe Vessicchio.)
«Caspita Caterina» faccio io, «non sai che fortuna, è facilissima da imparare.»
«Come facile? Ma io non ci capisco assolutamente niente»
«È perché ti manca un background importantissimo, cara la mia Cate. Ti manca la hit anni ‘90 “San Martino”, performata da Fiorello quando ancora aveva la coda e faceva il Karaoke.» E allora l’occasione è ghiotta per prendere in mano il cellulare e metterla su, e parte ‘sto pezzo pseudo-disco e allora sdan! giù a ballare.
“…nebbia agli irti colli! Piovigginando saleee”
Con tanto di braccia in aria e movimento pelvico più che ambiguo.
A un certo punto Caterina mi fa: guarda che non dice così. Qui la poesia dice una parola diversa.
«Allora Caterina punto primo: potrei aver sbagliato io e non certo Fiorello. Punto secondo: in caso di dubbi, guarda che in caso è la poesia, a essere sbagliata rispetto alla canzone.»
Fiorello rulez.
Considerazioni:
a) alla fine mi sa che l’errore era mio;
b) potreste sostenere che tra poesia e canzone non sono paragoni da farsi. Però vi chiedo, dov’era Giosuè Carducci, dov’era quando noi negli anni ‘90 si affrontavano i problemi dell’adolescenza?
c) comunque ho scoperto che la prima strofa la so benissimo, la seconda tentenno un po’ ma la terza e la quarta buio totale. “spiedo scoppiettando… ehm… a rimiraaaar”.